#JamuSudTrek Himalaya: il racconto dell’attacco alla vetta

SE CREDETE che in questa avventura i ragazzi di SudTrek abbiano trattenuto le lacrime, il sudore e l’emozione per fare spazio solo alla razionalità vi sbagliate. Negli stringati SMS ricevuti in redazione da Kothe in poi, non poteva trasparire l’emotività dei nostri trekkers pianigiani. Ma se rileggete la decisione di Umberto, riascoltate la telefonata da Mera Peak o proseguite nel racconto che segue, scoprirete davvero chi sono i nostri Lino, Vincenzo, Lidia, Pasquale e Umberto. Insieme abbiamo scritto una splendida pagina per lo sport gioiese. Da parte di coloro che numerosi hanno seguito questo diario, ma in primis dal cuore e dalla mente di chi scrive, GRAZIE!

Proseguiamo con l’ultima pagina del nostro racconto.

Diario dei trekkers di sabato 1 Aprile – 9° giorno

PRONTI PER LA CONQUISTA DELLA VETTA – Sono circa le 24:15 ed un freddo tagliente abbassa la temperatura a -19°. La luna sembra osservare il risveglio del nostro campo. Il primo segnale di vita arriva dall’accendino di Lino che in quell’ambiente assurdo pare rilassarsi, tra il fumo della Marlboro ed il suo sguardo perso in un orizzonte di ghiaccio. La zip dell’altra tenda si apre. Spunta Vincenzo, si siede accanto a Lino e dice: «Fratello ci siamo! Andiamo a prenderci quest’altra vetta». Lino, con il suo sguardo rivolto verso quell’orizzonte, lo abbraccia ed esclama: «Andiamo fratello, sempre insieme. Coraggio e prudenza…io ci sono». Da dentro le tende si sentono i rumori di chi si sta preparando. Vincenzo va a dare una mano alla concentratissima Lidia per le ultime cose, mentre Pasquale mormora di rilassarsi dall’interno della tenda convinto di uscire all’ultimo momento in quanto quel freddo farebbe perdere l’ululato ad un lupo. E’ l’1:30 ed arriva lo sherpa Smile (nome attribuitogli per il suo volto sempre sorridente, ndr) con del thè e dei biscotti. Lino prende il thè e rifiuta i biscotti, ma ringrazia e sorride. Nel frattempo accende l’ennesima sigaretta ed inizia ad sistemarsi con cura ed attenzione le ghette Millet che per tutta la spedizione ha odiato. Vincenzo è pronto: sta verificando soltanto l’ultimo dei due bastoncini mai usati fino a quel momento. Lidia prontissima si gusta la scena. Finalmente Pasquale esce dalla tenda. Arriva la grande guida Pancha e ci avvisa che tra 10 minuti ci metteremo in marcia, mentre i suunto (orologio da polso dotato di strumentazione di misura della temperature, ndc) indicano – 24°. Lino invita tutti a mettersi i ramponi. L’operazione è resa difficile dal gelo, infatti le mani perdono sensibilità al contatto con il freddissimo ferro dei ramponi. All’improvviso si sente un urlo bestiale arrivare da dietro al gruppo. E’ Lino che dalla parte più buia inveisce contro Pasquale per aver chiesto aiuto alla seconda guida per i ramponi. Lino dopo qualche minuto di silenzio richiama l’attenzione e dice: «Questa è la spedizione sul Mera Peak della SudTrek. Se volevate le comodità che cosa siete venuti a fare qui. Potevate andare a divertirvi alle Maldive». Il silenzio del team ed il fischio glaciale del vento, vengono interrotti da Pancha che rivolgendosi a Lino dice: «Boss, andiamo?». Vincenzo controlla la cordata e fa cenno positivo a Lino. «Andiamo a prenderci il Mera» urla Lino a tutti e Pancha inizia a camminare. Sono le 2 e 5 minuti ed i nostri passi sono quelli dell’ultima tappa, sono quelli che ci porteranno a 6.476 metri, sono quelli che incorniceranno il nostro sogno. LA PARTENZA – Si parte, la strada è subito in salita. Il vento si fa subito più forte. Fa freddo, tanto freddo. Dopo 2 ore di cammino, Vincenzo si gira verso Lino, ultimo in cordata, e gli chiede: «Come va?». Vincenzo con un cenno gli fa capire che ha freddo alle mani, ma che va bene lo stesso. Dopo pochi minuti Pancha concede 3 minuti di riposo e Vincenzo sfrutta l’occasione per aprire una bustina di cerotti riscaldanti e li mette dentro i guanti di Lino. Quest’ultimo gli dice: «Non ti preoccupare Enzo, ma queste sono stupidate. Non sento le mani, ma tranquillo anche a tagliarle io arrivo su quella vetta». Vincenzo con mezzo sorriso replica: «Tu mettiti questi cosi e non ti preoccupare». VINCENZO TORNA INDIETRO – Riprende la marcia. Il freddo si fa sempre più rigido alle cinque di mattiani i -29 gradi si sentono tutti nella faccia, nella carne, nelle ossa e nella mente. Vincenzo sussurra a Lino di non sentire più i piedi e di sentire dolore. «Smettila e cammina» afferma subito Lino, che incalza: «Resisti, ancora 15/30 minuti e si alzerà il sole che inizierà a riscaldarci. Dai che portiamo a casa questa cima». Si riprende la marcia e gli occhi di Vincenzo sono un martello nella testa di Lino, fanno più male del freddo, sono più taglienti del vento. Non riesce a non pensarlo, non riesce a mettere davanti il loro sogno, non riesce. Si ferma e gli chiede: «Come va?». Vincenzo si ferma e risponde: «Mi dispiace…torno indietro». Lino lo guarda negli occhi e non riconosce l’amico di tante spedizioni. C’è qualcosa di profondo in lui. C’è qualcosa la cui essenza va oltre quella cima. All’improvviso Pasquale si siede sul ghiaccio ed inizia a piangere. I meno 30° si fanno sentire sul sistema nervoso. Ha freddo e dolore alle mani. Lidia cerca di rincuorarlo. Lino guarda Vincenzo e gli dice: «Sicuro che vuoi tornare indietro?». Non serve una risposta. I due si abbracciano e per la prima volta le loro strade si dividono, ma fa freddo e i sentimenti non riscaldano, ma scavano dentro l’anima. Lino richiama l’attenzione di Pancha e gli comunica che Vincenzo deve ritornare indietro. IL MONITO DI LINO – Poi va a controllare le condizioni di Pasquale che ha smesso di piangere e con la faccia poco convinta lo rassicura dicendogli che vuole salire. Lino dà il suo assenso, ma gli evidenzia che sono rimasti con una sola guida e un eventuale ritiro sarebbe la condanna per tutta la spedizione. «Io sono sinceramente felice che tu voglia continuare, ma se la tua poca lucidità o il tuo egoismo dovessero mettere a rischio la nostra spedizione ti uccido sul Mera!». Lidia cerca l’attenzione di Lino per chiedergli cosa deve fare. Lino la riporta in se urlandogli: «Se stai bene cosa caxxo mi domandi cosa devi fare? Avanti, andiamo fino alla cima!». L’ultimo sguardo con Vincenzo ha un valore enorme. Il gruppo si divide ma solo fisicamente. Si riparte. Il sole splende alto nel cielo e sembra riscaldare i -25° che dopo 5 ore portano sotto la vetta del Mera Central. Ormai ci siamo, gli ultimi colpi di picozza e saremo sulla vetta tanto sognata. MERA PEAK – Lino fa segno a Pancha di far salire Lidia per prima. L’unica donna della spedizione inizia a salire e dopo qualche minuto è in cima. Lino osserva Lidia in cima che è sorridente e felice. Felice di essere riuscita in quello che sul Kilimanjaro aveva preso come una sconfitta, proprio come Pasquale. Negli occhi di Pasquale si percepiva la voglia di salire a guardare il mondo da lassù. Poco dopo anche Pasquale è in cima. Dopo circa 15 minuti inizia a salire Lino. Arrivato in cima abbraccia i suoi amici. Pancha dà il cinque a Lino e gli indica sua maestà l’Everest. Si girano tutti a guardarlo. Lino sembra folgorato da quella bellezza della natura, sogno di tutti gli alpinisti. Tra foto e sorrisi, il freddo detta sempre legge. IL DURO RITORNO – E’ ora di ritornare. La via del ritorno è più dura del previsto. Dopo due ore, nell’attraversare un crepaccio Lidia ci finisce dentro. Pancha e Lino l’aiutano ad uscirne. Poi è stata la volta di Pasquale che nell’attraversamento apre ancora di più il crepaccio, ma Lino d’accordo con Pancha decide di saltare. Nel salto Pancha lo tira con tutta la propria forza. Lino arriva come un missile e finisce scaraventato atterra. Tutti si avvicinano per vedere se stava bene ma lui: «Sto bene, se finivo laggiù stavo peggio». Si riparte. Intorno alle 10:36 arriviamo a Mera Peak High Camp dove ci attende Vincenzo. Beviamo un thè caldo ci riposiamo qualche ora e ripartiamo alla volta di Khare. Siamo stanchissimi, ma la voglia di ricompattare la squadra è tanta. Le condizioni meteo peggiorano, attraversiamo il ghiacciaio in una fittissima nebbia. Pancha è un’ottima guida: ci ha riportato dopo 2 ore di cammino fuori da quel labirinto fatto di neve e crepacci. Quando pensavamo di aver superato il peggio, una fittissima nevicata ci fa ricredere. Siamo esausti e la neve ci continua a sfinire. Ci fermiamo. Ci guardiamo in faccia e basta uno sguardo per intenderci. Stringiamo i denti. Siamo in ritardo di 3 ore sulla tabella di marcia e sicuramente la preoccupazione di Umberto è alle stelle. Dopo 4:24 arriviamo a Khare. La stanchezza dei nostri volti viene spazzata via dai sorrisi nel rivederci tutti compatti. Sensazioni che non si possono descrivere, sensazioni che non si possono raccontare, sensazioni che porteremo dentro il cuore come doni della vita. Alle domande seguono i racconti, ai sorrisi gli abbracci, alla stanchezza la voglia di stare insieme. Intanto la neve continua a cadere su Khare.

da Milano per GioiaSport, Salvatore Cordiano

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