Fotia: «I nostri vertici sono sordi al grido di allarme»

«Dilettanti, quale futuro?» Le risposte del vicepresidente del Real Catanzaro

Continua con Andrea Fotia, vicepresidente del Real Catanzaro, il viaggio all’interno del calcio dilettantistico calabrese, ideato da GioiaSport insieme ad Antonello Merenda (Universo Dilettanti) e ReggioNelPallone (www.reggionelpallone.it). Abbiamo sintetizzato le problematiche che ai nostri occhi appaiono di maggior rilievo, decidendo di sottoporle, attraverso 4 domande, sia ai vertici istituzionali che ai Presidenti delle società interessate.

1) Il patto anticrisi tra il Presidente Tavecchio e le banche, che consiste in un microcredito da 10.000 euro a tasso agevolato, garantisce le iscrizioni ai campionati e quindi protegge la federazione dall’emorragia di rinunce; secondo Lei non si sarebbero potute adottare altre iniziative, tipo quella di chiedere ‘soccorso’ al calcio professionistico?

E’ vero, il patto anticrisi serve solo alla Federazione per garantire l’iscrizione di un maggior numero di società ai rispettivi campionati. Per le stesse società, invece, potrebbe avere un effetto boomerang, perché prese dal facile entusiasmo di poter pagare l’iscrizione “a rate”, si troveranno costrette a prestar fede alle stesse senza magari avere in cassa la liquidità necessaria. Se la Lnd avesse davvero voluto aiutare le società, avrebbe rateizzato la “spesa iniziale” senza ricorrere alle banche. Stride parlare contemporaneamente di banche e di dilettantismo, è come mettere insieme il diavolo e l’acqua santa. E non credo nemmeno nel soccorso del calcio professionistico. I dilettanti devono trovare nel loro interno le soluzioni ai propri problemi. Limitandoci alla Calabria, sempre più società chiudono i battenti, il Comitato Regionale ha riaperto anche quest’anno i termini per il ripescaggio in Prima Categoria. Cosa vuol dire questo? Che i nostri vertici sono sordi al grido d’allarme che arriva. Se trenta società non si iscrivono, ne vengono ripescate altrettante, l’importante è avere quel numero di squadre per categoria, incassare quelle somme per le iscrizioni, stilare i calendari e partire. Così non si affronta il problema, lo si aggira. E l’anno seguente si ripresenterà la stessa situazione. Basti vedere quante società ripescate la scorsa stagione abbiano dato già forfait in questa.

2) Il Presidente Tavecchio si è spesso confrontato con Befera, capo dell’agenzia delle entrate, ai fini di ammorbidire una massiccia azione accertatrice che nell’intero stivale ha coinvolto centinaia di società; è pacifico che il futuro del dilettantismo si giochi proprio su questa partita, relativa alle fatturazioni per sponsorizzazioni sino all’importo di 200.000 euro. Quale è il suo pensiero in merito?

Non credo che ci siano delle realtà in cui il calcio dilettantistico consenta a qualche dirigente di fare facili guadagni, anzi, ci si rimette e basta. Per questo motivo, essendo un’attività a perdere, sono d’accordo con chi parla di defiscalizzazione del sistema. E’ su questi punti che bisogna lottare, altro che microcredito! Bisognerebbe trovare il modo per equiparare le società dilettantistiche alle Onlus, perché il più delle volte si opera nel sociale senza fini di lucro, e magari effettuare in seguito un’attenta attività di controllo per verificare il costante rispetto dei requisiti.

3) Capitolo allenatori. Esiste una regola che protegge il rapporto lavorativo tra società e tecnici, i quali attraverso una specifica vertenza, riescono a recuperare l’intera somma pattuita pur essendo stati esonerati. Allo stesso tempo, diversi calciatori impegnati nove mesi a servizio della stessa società di appartenenza, spesso vengono retribuiti soltanto tre mesi, mentre l’allenatore che lavora tre mesi incassa il corrispettivo di nove mesi. Ritiene che siamo in presenza di una disparità di trattamento? In tal caso, quali soluzioni suggerisce?

Partendo dal presupposto che è sbagliato non equiparare allenatori e calciatori dal punto di vista “contrattuale”, se un calciatore viene retribuito solo tre mesi la colpa va equamente suddivisa tra società e calciatori stessi. Le società perché accettano le richieste assurde dei calciatori sapendo sin dal principio di non poterle mantenere, i calciatori perché vanno avanti con le loro richieste  dimenticandosi di essere dilettanti e non professionisti, che scendere in campo per divertirsi è un privilegio, non è un lavoro. Ben  vengano, dunque, gli accordi economici scritti tra società, calciatori e allenatori.

4) Capitolo calciatori. Meritocrazia e minutaggio, dovrebbero rappresentare le componenti basilari nella valutazione del rapporto economico tra società e calciatori. Sarebbe opportuno rispolverare il concetto del premio partita ed eventuali bonus legati agli obiettivi personali e di squadra, convertendo così il rapporto derivante dall’ingaggio fisso?

Sono dell’opinione che, ove possibile, il calciatore dovrebbe ricevere un minimo rimborso spese. Rimborso che deve essere legato alla professionalità del calciatore e non agli obiettivi raggiunti. E’ giusto che un ragazzo che si è allenato con serietà tutto l’anno non riceva nulla solo perché la sua società è retrocessa o non è salita nella categoria superiore? Non credo, perché le sconfitte fanno parte dello sport e vanno accettate senza penalizzare nessuno. Vero è che quando parlo di rimborso spese penso a qualche decina o poche centinaia di euro, non migliaia di euro come si sente dire in alcune piazze. Se il rimborso spese è inteso come lo intendo io, allora sì che si possono aggiungere dei bonus legati ai risultati. Ovviamente questi dovrebbero essere dei regali e non degli obblighi delle società nei confronti dei calciatori.

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